Nativi Digitali


Nativi digitali: due parole che descrivono non il futuro prossimo, ma il presente del nostro Paese e di gran parte del mondo. Sono i bambini, i ragazzi, i giovanissimi che oggi sono accompagnati dai loro genitori all’asilo o che frequentano le scuole medie: sono i protagonisti del presente-futuro.
Sappiamo di vivere anni di grande trasformazione, forse simili a quelli immediatamente successivi all'invenzione della stampa: non si comprese bene, per almeno mezzo secolo, le potenzialità che il mezzo tipografico aveva, e quali enorme strumento di diffusione delle comunicazioni, delle informazioni, delle conoscenze, degli scambi commerciali e finanziari aveva in sé.
Oggi abbiamo ancora l'idea che le tecnologie digitali siano un supporto alle tecnologie gutenberghiane: il tablet un aiuto al libro, la LIM una lavagna un po' più moderna ecc. Ma la generazione dei 'nativi digitali' cova dentro di sé una grande rivoluzione, una rivoluzione che inciderà non soltanto sul modo di “fare scuola”, ma sui modi di conoscere e di apprendere.

I saperi, le conoscenze, l’istruzione e, dunque, la Scuola, sarà il filo rosso che legherà tutti gli eventi della tre giorni. La scuola è il luogo cui la Costituzione assegna il compito più grande: quello di rendere concreta e quotidiana la democrazia, offrendo a tutti il diritto a essere sostenuti nel cammino verso "il pieno sviluppo della persona umana", attraverso la rimozione degli "ostacoli di ordine economico e sociale", che limitano di fatto "la libertà e l'uguaglianza dei cittadini" (articoli 3 e 38).

Pensare ai nuovi cittadini italiani, significa pensare ai nativi digitali.
E pensare ai nativi digitali significa pensare a un nuovo alfabeto per superare le differenze culturali, sociali, linguistiche.

Significa usare le Ict non come semplice supporto multimediale al cartaceo, ma come nuovo modo di conoscere e insegnare, come nuovo paradigma cognitivo.
Significa ridisegnare completamente i luoghi fisici dove finora la scuola ha vissuto.
Significa pensare una nuova didattica che sappia relazionarsi con le menti veloci dei nostri figli e nipoti.
Significa rimettere in discussione la trasmissione unidirezionale e gerarchica dei saperi.

6 commenti:

  1. Mi domando, anche da elettore del PD, come mai la retorica dei "nativi digitali", oramai uscita dal dibattito accademico e professionale, stia rientrando attraverso la politica. Vedi anche qui http://www.giannimarconato.it/2011/03/nativo-digitale-uno-stereotipo-dannoso/

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  2. Concordo in pieno con Marconato. Parlare di giovani e di nuove tecnologie è giusto, ma "Nativo digitale" è un termine bufala. Ha valore solo demografico, cioè "nato dopo l'anno X", ma avere una certa età non implica affatto essere realmente _competente_ sul digitale.

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  3. Il dibattito se sia corretto o no adoperare il termine "nativi digitali" è, a mio parere, poco interessante. Non è un dibattito concluso, tutt'altro. Ma, "l'argomento è oscuro e la vita degli uomini troppo breve" per affermare delle 'verità'. Se dal punto di vista delle neuroscienze c'è o no una evoluzione biologica in atto, lo sapremo, forse, fra decine di migliaia di anni. Un approccio filosofico trovo che sia molto più avvincente, ad esempio in relazione alla percezione di spazio e di tempo dei 'nativi digitali' oppure all'appartenenza delle immagini alla sfera del reale, alla definizione stessa di 'reale' in rapporto alla produzione di 'simulacri' profondamente differenti da fotografia, cinema, tv.
    Con Marconato, settimane fa, al telefono, ho convenuto che avremmo potuto adoperare l'espressione "... per la scuola dell'era digitale", come da lui suggerito; eppure anche in questo caso ci sarebbe da discutere. Scrivere che il termine 'nativi digitali' sia una bufala è un'opinione, e la spiegazione sul mero valore demografico è al tempo stessa banalmente condivisibile e non proprio corretta. E' chiaro che definire una certa generazione 'nativi digitali' è una operazione di riduzionismo semantico, che pure è necessaria, prova ne è che ogni giorno, decine di volte, quasi sempre inconsapevolmente, adoperiamo forme di riduzionismo nel linguaggio quotidiano per riuscire a comunicare con altre persone. Sappiamo bene che parlare di 'nativi digitali' o semplicemente di 'era digitale' in Sierra Leone o negli Stati Uniti d'America non è la stessa cosa. E non è la stessa cosa neanche parlarne in riferimento al nostro Paese, dove il digital divide fra zone è piuttosto alto. Eppure questa consapevolezza non mette in discussione una generalizzazione necessaria per affrontare l'argomento e confrontarsi non su una questione nominalistica, che poco coinvolge insegnanti e studenti, ma su come la scuola pubblica italiana stia preparandosi all'inevitabile. La Conferenza, tra l'altro, permetterà, sia nella serata di venerdì (dedicata ai blogger della scuola), sia nelle conversazioni attraverso le tag cloud live, di raccogliere opinioni e idee per ciò che interessa al Partito Democratico: arricchire le nostre proposte programmatiche (I Dieci punti per la Scuola usciti dall'assemblea nazionale di Varese) con un capitolo dedicato alle tecnologie digitali. Il mio invito è, quindi, a partecipare alla Conferenza, sapendo che il PD -e lo scrivo colla massima convinzione- ha organizzato questo primo appuntamento non per abbracciare un dogma, ma per trovare nuove strade e idee a beneficio del sistema pubblico nazionale dell'istruzione. (coordinatore dipartimento Scuola)

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  4. Da un'altra piccola piccola persona, collocata da sempre a "sinistra" ma che soprattutto si occupa da 24 anni di didattica delel tecnologie come docente e formatrice....
    Si trovano "nuove strade" solo dopo aver "battuto" (eh eh eh) e conosciuto realmente quelle che già ci sono...
    Mi spiego meglio...o almeno cerco: se invece di cercare sempre definizioni troppo facili, scontate, generaliste o per lo meno semplificatorie( oh come amo il termine "complessità" di Morin!)ed avere alla fine l'impressione che ad ogni convegno(e non solo quando si parla di scuola) si ricomincia tutto "daccapo";...se si iniziasse ad interrogare sul serio "la base" (per usare una parola anche "politica") e quindi chi da anni lavora ALL'INTERNO della scuola ogni sacrosanto giorno e chi si occupa di formazione SU CAMPO e non in "laboratorio" o per scriverci pubblicazioni o libri(..ops! ebook)e lo dico con tutta la stima che ho e riconfermo per Paolo Ferri:lui lo sa bene,forse.. qualche risposta o meglio "proposta" concreta e seria si potrebbe trovare.
    Basterebbe seguire sul serio e con umiltà anche i dibattiti e i contributi che ci sono all'interno di gruppi di docenti presenti on line ed anche in Facebook discussioni e confronti che pongono all'attenzione il VERO problema : vogliamo finalmente ri-cominciare a parlare di FORMAZIONE all'interno della scuola? Vogliamo parlare delle conseguenze che ha determinato la scelta infelice di non aver più posto l'aggiornamento permanente (e magari anche "obbligatorio" brutta parola per una di "sinistra", LO SO...ma necessaria)al centro della professionalità docente?
    Le tecnologie nella didattica "ordinaria"(e non straordinaria o venduta come innovativa tanto per fare propaganda)non fanno che amplificare in modo evidentissimoed incontrovertibile la quasi tiotale mancanza e contemporaneamente la indiscussa necessità di PROFONDA E "NUOVA" formazione sul piano pedagogico e sul piano metodologico e questo per molti docenti ed in tutti gli ordini scolastici: una categoria che, tra l'altro, non si rinnoverà neanche "anagraficamente" parlando, molto velocemente, vista la situazione nazionale contingente: non siamo certo noi a non voler lasciare il posto ai giovani....
    La leggenda che "basta fare per imparare" poi è stata ormai superata da un bel po'di tempo e noi lo sappiamo bene... concordo quindi pienamente con gli interventi di Gianni Marconato e Marco F.

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