lunedì 16 aprile 2012

Intervista al presidente del CIDI Giuseppe Bagni

Giuseppe Bagni, presidente del CIDI (Centro di Iniziativa Democratica Insegnanti), racconta in esclusiva per il blog #conferenzanatividigitali  il rapporto tra insegnanti e nativi digitali e le nuove prospettive della didattica.

In che modo il Cidi si sta attivando per venire incontro alle nuove esigenze didattiche emerse con l'arrivo della generazione dei nativi digitali nelle scuole? 

Il Cidi è sicuramente, per storia e cultura, più vicino ai cosiddetti "migranti digitali", che costituiscono la stragrande maggioranza dei docenti. Vista la loro età media, è fuori di dubbio che si parla di adulti che hanno costruito la propria istruzione sui libri cartacei, in un tempo in cui lo "scrivi e cancella"  era al posto del "copia e incolla" attuale. Per questo non sono convinto che il problema principale sia davvero le nuove esigenze dei "nativi digitali", quanto piuttosto la relazione nuova e del tutto inedita che deve costruirsi tra insegnante e alunno: due soggettività che devono confrontarsi per la prima volta con una distanza che non è solo anagrafica ma connota addirittura le loro modalità di pensiero e di analisi. Ma se nella didattica riconosciamo più il terreno di un confronto che il contenuto e la tecnica di una trasmissione, allora possiamo comprendere come i "nativi digitali" stessi  siano una risorsa preziosa per far avanzare un nuovo modello d'istruzione e favorire anche la necessaria "mutazione" di noi docenti. La strada da seguire resta quella di una didattica nuova, coinvolgente e partecipata, che miri alla costruzione di un curricolo fondato su scelte coraggiose di contenuti e di metodi, con una forte attenzione all'epistemologia delle discipline e alla psicologia dell'età evolutiva degli alunni. Discutere del nuovo pensiero digitale di questa generazione diventa incomprensibile se non si comincia davvero a dare un ruolo alle modalità (e possibilità reali) d'apprendimento dei nostri studenti.

La trasmissione gerarchica e unidirezionale del sapere è messa in discussione dal web e dalla miriade di informazioni cui è possibile accedere in tempi rapidissimi. In che modo tutto ciò incide sul rapporto professore/alunno?

Non credo che sia un fattore influente. La scuola non è in competizione con chi dà informazioni, né deve fare a gara in velocità di trasmissione. Se lo fosse sarebbe condannata alla sconfitta. La scuola cerca di sviluppare nei suoi alunni un "agire competente" che non è consequenziale di un maggior livello d'informazione, ma di maggior consapevolezza.
A mettere in discussione la trasmissione gerarchica nella scuola è soprattutto la sua obsolescenza culturale. Oggi cade definitivamente l'illusione che si possa fare buona scuola senza il coinvolgimento attivo dei soggetti dell'apprendimento. É divenuto evidente che al senso del dove che tradizionalmente chiediamo ai nostri allievi corrisponde il dovere nostro di dar senso a questo loro impegno. Una specularità delle responsabilità che prima poteva essere nascosta proprio dal rispetto (formale) di quella gerarchia e unidirezionalità (sostanziale, ancora oggi) che caratterizzavano la scuola del passato.
Non possiamo che essere felici che il confronto con i "nativi digitali" faccia esplodere a scuola la necessita del loro protagonismo.

Cosa pensa del corpo docente attuale di cui fa parte? E' in grado di sostenere la rivoluzione del web 2.0 e di continuare a catturare l'attenzione di ragazzi soggetti a sempre più stimoli esterni?

Io ho molta stima dei miei colleghi. Noi insegnanti stiamo svolgendo un ruolo tanto fondamentale quanto difficile. Insegniamo a degli studenti che nella stragrande maggioranza non ci assomigliano più, troppo diversi da come noi siamo stati studenti nel modo di pensare e di apprendere. E siamo chiamati a insegnare un sapere dotato di permanenza per essere la bussola dell'agire responsabile dei nostri allievi, in un tempo di trasformazioni vertiginose, dove il sapere appare un bene di facile consumo, a rischio di immediata evaporazione.
In questa situazione la scuola deve ora misurarsi anche con le novità dirompenti della comunicazione digitale. Lo sta facendo con una comprensibile riluttanza, ma lo sta facendo. Non dobbiamo dimenticare che la scuola è e deve restare un luogo di conversazioni. Anche e soprattutto tra generazioni. Luogo di contatti prima ancora che di connessioni. Ma la ricerca dei valori permanenti in ogni tempo non significa resistere al tempo, bensì interpretarlo. Sono convinto che noi insegnanti impareremo a "manipolare" anche le risorse del web per tenere viva l'attenzione dei nostri alunni. Dobbiamo prenderli là dove sono per portarli là dove vogliamo.

Cosa pensa dell'introduzione delle nuove tecnologie nelle scuole? E' una priorità oppure un "di più" del quale possiamo tranquillamente fare a meno per il momento?

Non sono una priorità. La priorità, l'unica, è l'apprendimento degli allievi.
Sono invece una risorsa che dobbiamo imparare a usare bene. Uno strumento che si presta magnificamente ad una comunicazione orizzontale, democratica, coinvolgente, profondamente collaborativa; in luogo di quella unidirezionale e trasmissiva, che fa della cattedra il simbolo concreto di una gerarchia e di un confine. Gerarchie nella comunicazione sono indispensabili, ma non devono diventare barriere. Tra le nuove tecnologie mi convincono molto quelle che permettono di stabilire ruoli all'interno di una comunicazione fortemente orizzontale, lasciando che siano questi a stabilire le giuste gerarchie. Certo se invece tutto si riduce a una LIM usata come una lavagna ma senza gesso, il potere innovativo si riduce quasi a zero.


(a cura di Ludovica Tartaglione)

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